Non ricordo come e quando io e Francesca (Artoni) ci siamo conosciuti ma poco importa perché per me è come se la conoscessi da una vita. Succede a volte, con alcune persone, di avere la sensazione di averle già conosciute in chissà quale vita passata e con queste tutto diventa più semplice: aprirsi, parlare, scambiarsi idee e opinioni magari diverse dalle proprie ma di ritrovarsi in grado di comprenderne e accettarne il percorso e lo sviluppo. Francesca è di base una fotografa che si è stufata di cogliere l'attimo.

Cogliere l'attimo ti da la sensazione di fermare il tempo, di avere un dono mistico che ti permette di trovare nella realtà delimitata dal passare delle ore una porzione di infinito. Ecco perché alcuni fotografi soffrono di manie di onnipotenza. A Francesca sembra non interessare questo aspetto. A lei interessa raccontare visioni, sensazioni, equilibri e oscillazioni e lo fa con le immagini che trova nei mercatini dell'usato, con le vecchie foto di famiglia, con le sue foto di archivio. E quando scatta, Francesca, non si ha la sensazione che abbia colto un momento ma più che altro un sentimento. Il momento passa, anche nei nostri ricordi, ma l'emozione è qualcosa che si lega al nostro vissuto per sempre.

Quello che mi piace del lavoro di Francesca è la delicatezza che non significa per forza fragilità ma che ha più a che fare con una carezza o uno schiaffo. Ha la capacità di toccarti in qualche modo ed difficile far ciò utilizzando solo immagini. I suoi lavori non rappresentano dei mondi ma sono piuttosto degli spioncini in cui è possibile osservare un luogo indefinito e sospeso tra i secondi di un minuto infinito.

Ricerca dentro di se le immagini che vuole raccontare, sperimenta tecniche e materiali. Ma più di ogni tecnica e materiale è il suo mettersi a nudo che a mio avviso la rende così potente: il suo coraggio nell'aprirsi e nell'esporsi. Il suo mettersi in dubbio la rende forte perché implica studio, ricerca e quindi preparazione. La poesia (di Francesca) non è roba per gente fragile.